Auto americane a Milano AutoClassica

11 dicembre, 2017 | Redazione

Cadillac coupé De Ville, 1959.

Le poche auto a stelle e strisce erano di spiccato interesse, specie per chi volesse gustarsi una di quelle leggende tutta pinne e cromo che sovente sono sinonimo tout court di auto a stelle e strisce. Una, o più precisamente due, dato che a pochi metri di distanza l’una dall’altra un paio di Cadillac facevano bella (e vistosissima) mostra di sé. Una era una Coupé De Ville del ’53, l’altra un modello allestito nella medesima configurazione hardtop due porte, ma del 1959, l’anno delle famosissime pinne, che per inciso sono fra le più alte di sempre nel loro genere. Impossibile non restare increduli, ancora oggi, alle loro dimensioni e forme. Non è una visione per animi sensibili e deboli di cuore!



Sono auto realmente imponenti, con una lunghezza e una larghezza stupefacenti. La versione 1959 è anche notevolmente bassa, una cosa a modo suo storica perché la Cadillac di quell’anno rappresenta uno dei migliori esempi di quel fenomeno che, inaugurato dalle vetture del gruppo Chrysler nel ’57 e dalla Lincoln nel ’58, avrebbe reso le proporzioni dimensionali della carrozzeria delle macchine americane di categoria full size immutate e immutabili nelle proporzioni fra lunghezza, larghezza ed altezza per 17 lunghi anni.  Solo il downsizing del ’77 (iniziato dalla General Motors, e guarda caso con la Cadillac ancora protagonista) avrebbe portato delle importanti novità in tal senso, con una lenta ma costante tendenza a rimpicciolire delle dimensioni che ormai non avevano più nulla di umano.
Basti pensare che già le proporzioni delle Cadillac del ’59 erano tali da meritare loro critiche dai proprietari di parcheggi multipiano che si ritrovavano nella necessità di dover rifare le rampe di accesso, nel caos avessero voluto accoglierle! Se le dimensioni, e soprattutto le forme, di queste regine delle freeway possono sembrare esagerate oltre ogni limite, fra le auto in vendita si trovava una bella Lincoln Continental convertibile che pur non risultando affatto piccola, era però un poco più sobria: quel che basta per appagare chi gradisce esuberanza di dimensioni, ma sempre con un certo tono ed una certa austerità.
Anche se, bisogna ammetterlo, parlare di austerità in presenza di una macchina cosi (e con una tinta del genere) è comunque cosa ardua. Esagerazioni dimensionali a parte, fa sempre un bel effetto vedere macchine cosi imponenti ed appariscenti, cosi in contrasto con le essenziali e leggere linee delle nostre gran turismo. Milano Autoclassica offriva una stimolante occasione per fare un debito raffronto fra due mondi automobilistici assai diversi far loro, ma nondimeno unici.

Cadillac, 1959.

Volendo, c’erano anche un paio di esemplari di quella che si può ben definire come l’anello ci congiunzione fra questi due mondi, quello delle americane dalle giunoniche dimensioni e dai rutilanti dettagli, e quello delle leggere ed aggraziate , forse anche troppo essenziali, auto sportive all’europea: due Corvette del primo tipo, entrambe del ’54, erano infatti presenti per testimoniare di questo tentativo di simbiosi fatto dalla General Motors in quegli anni in cui i designer di Detroit dettavano legge ovunque, ma non al punto da risultare insensibili al richiamo della purezza e sobrietà di linee delle auto sportive de noantri.   

A dire il vero, nel caso specifico delle prime Corvette, la fonte principale di ispirazione furono certe sportive inglesi (prime fra tutte le Jaguar XK 120), ma il semplice e basso frontale delle meraviglie in plastica prodotte a Bowling Green era di netta ispirazione italiana. Certo, le ardite pinne posteriori (più vicine a interpretazioni di reattori che non a pinne caudali di qualche membro della fauna marina, o a qualche ala di uccello) erano inconfondibilmente yankee, ma per il resto lo stile molto sobrio e aggraziato, cosi lineare, faceva apparire le prime ‘Vette come animali di una specie assai diversa dai classici dinosauri Made In Detroit.

Matteo Giacon


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